Contrada di Valdimontone

77-07
Sul Tufo
primo_verbale
Archivio in pillole
servi
A spasso per il rione
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Gente di Contrada

I Popoli

Indice

Secolo X

Nel secolo X si ha già una prima documentazione di famiglie che si stabilirono sul colle di Montone, i signori della Berardenga e della Scialenga, provenienti da Castelnuovo e da Asciano; proprio dove ora sorge la Basilica dei Servi. Nel secolo XI un nobile cavaliere Montone Piccolomini o Piccolomo da Montone costruì un castello, che si chiamò Castel Montone dal quale prese il nome il luogo circostante. Il cerchio di mura intorno alla città si stava già allargando e nella vallata sottostante fu costruita la Porta Val di Montone, successivamente chiamata di Giustizia, attraverso la quale transitavano i condannati. Intanto nel rione crescevano palazzi e case, in San Maurizio c’erano quelle degli Altoviti, dei Rigoleschi, dei Caccianeve e degli Argenti, fuori la porta addossate alla castellaccia troviamo i Tebalducci e gli Olivieri, in San Maurizio in strada di Belvedere poi Pagliaresi, gli stessi Pagliaresi e gli Anigoleschi; fuori la Porta di San Maurizio, i Samoreggi, gli Erzerughi, gli Agazzarri, i Petroni e i Patrizi. Le moderne contrade nascono intorno al 1400 nel pieno del Rinascimento, compariscono in quel tempo con il solo scopo di organizzare feste popolari e spettacoli pubblici, prima in modo semplice e poi più fastosi, ma sempre a carattere ricreativo, rappresentando l’anima del popolo senese. 

 

La storia ci tramanda che già dall’anno 1000, la città era divisa in terzi, confini dettati dalla morfologia della città ed ognuno di essi aveva il suo Centurione, il Capitano delle Masse e cento persone scelte e destinate per servire a vicenda la guardia del Palazzo della Signoria. Similmente in occasione della festa del 15 agosto, si distribuivano per la Piazza Grande e marciando in ordinanza facevano antiguardia al Senato, allorchè trasferivasi al Duomo per l’offerta del cero votivo. Il nostro popolo è ubicato nel Terzo di San Martino, spiegante nel suo vessillo in campo rosso, l’impresa del Santo medesimo a cavallo in atto di dividere col povero la propria clamide. Gli alfieri maneggiavano le insegne del Centurione, quello del nostro Terzo, aveva raffigurato la Balzana bianco nera con dentro la balestra colorata in rosso, mentre lo stemma del Capitano delle Masse aveva raffigurato dentro la Balzana uno scudo rosso con cerchi bianchi. Questi popoli nel 1260 si contavano in numero di 53, ridotti poi a 42 dopo la peste del 1348. Dopo l’anno 1261 nacque il gioco delle Pugna. Si narra che questo antichissimo gioco presso i Senesi avesse avuto origine dalle antiche contese, allorchè portavano al mercato delle vettovaglie i due popoli di Castel Montone e Castelvecchio. 

Figurante 1791

Il Secolo XV

 Si combatteva a mani nude, sferrandosi violenti schiaffi e pugni e perfino morsi, coperti solo da una sorta di cestelli di vimini. Il primo anno in cui Siena vide rappresentare le Macchine dei suoi popoli nella piazza fu il 1482, grandi carri in cui erano raffigurati i vari animali. La prima apparizione pubblica del popolo del Montone è nella cacciata ai tori del 15 agosto 1506, ed ha come alfiere Antonio di Biagio, e come capitano Iacomo Rossino. La comparsa si presentava con una veste bianca e con un montone dentro uno scudo d’oro e tutti i suoi membri recavano un cane al guinzaglio. La macchina per la caccia era un grande montone in legno finemente lavorato. Il montone aveva portato a queste feste il simbolo ed il nome che non aveva mai abbandonato fino dalla sua lontana origine. Nel 1516 fu fatta una superba e magnifica caccia tanto lodata, a cui partecipò anche il nostro popolo, e si videro nella nostra piazza venire a contrasto con i tori molti carri in varia forma e grandiosamente costruiti. Il nostro popolo sfoggiò una macchina rappresentante un particolare montone, ma sembra che non ricevette una buona accoglienza in quanto ritenuto offensivo da parte delle donne. Nel 1532 e successivamente anche nel 1541 comparve nuovamente alla Caccia de Tori, insieme ad altre contrade, nella gran Piazza di Siena con la sua macchina. Nella più grande cacciata, quella del 15 agosto 1546, nel corteo in decima posizione, seguiva la Macchina del Val di Montone, rappresentante un “Castrum” con sopra un enorme ariete rampante, accompagnata dal nostro popolo con 63 cacciatori. Il capocaccia fu il quindicenne Muzio di Lattanzio Mattioli, sopra un bellissimo cavallo con i suoi staffieri, vestito di cremisi con oro, ornato riccamente di perle e gioie, berretta con piuma, e medaglia d’oro. Portava il suo corno in ben ornato, con i suoi staffieri vestiti di drappo color tanè con trine gialle. Era parente del grande naturalista e scienziato Pietro Andrea Mattioli, nato nelle case degli Accarigi al Ponte di Romana. Capitano era Volumnio di Angelo Tantucci, con veste di raso turchino tagliato con trine, e fodera di tela d’argento, in testa similmente una berretta ornata di perle e gioie. L’alfiere Ottaviano Martini, vestito di cremisi con trine d’oro, con l’insegna tutta turchina. L’anno dopo fu tenuta una nuova cacciata effettuata solo dalla contrada del Montone. 

A rappresentarla furono i soli uomini di San Maurizio, considerati da tutti soggetti violenti, rivoltosi e sovversivi, e questo provocò il ritiro della altre contrade. Comparve con la propria Macchina alla Caccia ai Tori anche nel 1567, 1578, 1587, 1588, 1591, 1593, e nell’ultima del 1597. Le Macchine delle quali si è parlato, rappresentate dalle Contrade, si disse nell’introduzione di questi spettacoli, essere costruite a guisa di Fortezze, che servivano per prendere lena, vigore e riposo ai combattenti già lassi dalla fatica per assalire le fiere. Nel 1581 in occasione del palio da corrersi in Siena, nell’onorata contrada del Lionfante vennero presentate quattro stanze (composizioni poetiche), una delle quali cantata da un fanciullo in nome della Gioventù Tanagrea, rappresentata dal popolo della contrada del Montone.

Frontespizio alle stanze MDLXXXI

Il Secolo XVII

Per avere un po’ di conoscenza ricordiamo che in tempi antichi il Dio Fitone, personificazione del serpente, oppresse con il veleno Tanagra, città della Beozia, celebre per il culto religioso dei suoi abitanti. Allora Mercurio mandò intorno alle mura un montone che “ammortì” (rese inerte) il veleno, e per questa ragione, i Tanagrei o Montonaioli, in lode del loro emblema, il Montone, cantavano in musica, rivolgendosi alle donne senesi con madrigali d’amore. Tanagra era un famoso centro agricolo, per molto tempo una delle più potenti città della Lega Beotica, della quale oggi rimangono solo dei resti archeologici. Si trovava nella Beozia, regione della Grecia centrale, situata ai confini dell’Attica. Nel 1655 per essere innalzato al Sacro Soglio Pontificio Alessandro VII, Fabio Chigi, nostro concittadino, furono intimate per dodici giorni le Ferie. In questo medesimo corso ebbe luogo nella Grande Piazza una piacevole Caccia di quattro tori e 34 uomini vestiti di abito rosso e bianco, i quali, con botti e uomini finti di paglia dopo aver lungamente bersagliata la ferocia di quelli animali, ed essere assaliti da più bande, dopo vari incontri e giocosi avvenimenti, restarono preda dei vincitori. I suddetti 34 uomini erano distinti ogni due, e ne facevano parte anche due rappresentanti del popolo del Montone. Il 2 luglio 1666 vi erano due premi per le comparse, il secondo lo vinse il Montone, e ricevette un premio per la comparsa anche il 2 luglio 1679. In occasione del palio del 9 settembre 1685, fatto correre dai due principi imperiali del Liechtenstein per solennizzare alcuni cavalieri tedeschi reduci dalla vittoria di Vienna, il popolo del Montone dopo una riunione con il Provveditore Valerio Matteucci e l’assenso del protettore Conte Orazio d’Elci, decise di partecipare alla corsa e costruì un grande carro considerato il più bello e sfarzoso fra tutti.

 

Durante il secolo XVIII era d’uso nominare protettori di contrada persone nobili. Della nostra facevano già parte dalla fine del secolo precedente i conti Orazio D’Elci e Niccolò Piccolomini. Nel 1704 divennero protettori il commendatore Saracini, l’Abate Domenico Placioli, ed il nobile G. Batta Borghesi; nel 1727 il conte Pio Piccolomini, il conte Cino Cinughi, nel 1730 i nobili Galgano Lucarini, Calanio Della Ciaia, Giovan Battista Arrighi e Cino Cinughi. Il 16 agosto 1747, per festeggiare la vittoriosa corsa, nella notte il popolo bruciò una macchina di fuochi lavorati con artifizio, che rappresentava una torre sopra uno scoglio ed in cima posava un’ antenna con girandole e vari animali volatili. Nel 1747 il popolo del Montone fece correre il giorno 20 agosto un palio alla lunga con cavalli scossi, dal Santuccio al Duomo. Ancora oggi è visibile la pietra rettangolare dove era situato il verrocchio sul lastricato stradale in fondo alla via di Valdimontone all’incrocio con via Roma. Il 16 agosto 1757 il popolo della contrada della Valle del Montone comparì nella piazza con un magnifico e grandioso carro, distribuì un madrigale che raffigurava e rappresentava la favola di Frisso re della Beozia e di sua sorella Elle che sacrificò a Zeus l’ariete dal vello d’oro. A seguire una magnifica cavalcata di uomini vestiti di vari colori.

Il 2 luglio 1765 la nostra contrada comparve in piazza con una cavalcata di quaranta persone vestite in uniforme analoghi alla medesima, ed era preceduta da una banda di militari con strumenti e seguita dalla Milizia Imperiale, che in quell’epoca dimorava a Siena. Il 14 agosto 1767 la compagnia del popolo della Valle del Montone guidata dal nobile signore Fausto Salvani, al cospetto dei serenissimi principi granducali, ospiti della città, si presentò nella piazza con uomini vestiti di rosso scarnatino, con corpetto ed altre rifiniture bianche. Il 16 agosto 1777 il Granduca Pietro Leopoldo I accompagnato dalla Granduchessa Maria Luisa partecipò al palio fatto correre dal popolo della contrada della Valle del Montone. La nostra contrada comparve in Piazza con una comparsa a cavallo di 40 persone vestite con uniforme, conducendo il Palio della corsa. Fece, per la circostanza, una cavalcata con trombe, corni e timpani, con grande sfarzo, con un grandioso carro rappresentante la conquista fatta da Giasone del vello d’oro, appartenuto all’ariete di Frisso. Seguiva un maestoso carro trionfale, rappresentante Nino Re degli Assiri in atto di offrire sacrifici agli Dei. Essendo esclusa dalla sorte nei palii del 1786, insieme alle altre sei escluse, il nostro popolo portò un carro trionfale rappresentante il Tempio della felicità; nello stesso momento il suo protettore Cavaliere Domenico Bianchi, da poco residente nell’ex convento delle monache d’Ognisanti, in attesa di terminare il suo nobile palazzo, volle dare al popolo in nome della contrada, una grandissima festa che così ci viene descritta: “la mattina del 16 agosto ci fu gran concorso di popolo al palazzo della Nobile Casa Bianchi, al Ponte di Romana, nel punto ove ora sta attaccata la bandiera, il signor cavaliere aveva collocato un gigantesco montone in legno che gettava vino dalla bocca dalle 9,30 fino alle una pomeridiane, furono anche distribuite al popolo molte staia di pane”. Inoltre essendo il giorno 20 agosto la domenica infraottava di Maria Assunta in Cielo, in quel tempo festa patronale, fu corso un palio di barberi scossi con partenza dalla chiesa del Santuccio fino alla piazza del Duomo e fu fatta solennemente la pace tra il Montone ed il Nicchio. Nello stesso giorno entrò in piazza, preceduto da vari trombetti, il primo gran carro costruito ad opera delle sette contrade, che la sorte aveva escluse, compreso il Montone, sul quale era inalberato il Palio contornato dalle sette bandiere. Rappresentava un’amena collina nella quale si ascendeva al Tempio della Felicità, con sette pastori vestiti analoghi alla propria contrada, intenti a tener ghirlande per offrirle al Tempio, che torreggiava in cima, ai piè del quale stava l’Arbia.

Il Secolo XIX

 Nel vittorioso palio del 17 aprile 1791, palio straordinario per la venuta a Siena di Ferdinando IV re delle Due Sicilie, il popolo della nostra contrada presentò un carro con rappresentata l’annuale festa che i Tebani solennizzavano in onore di Giove sotto le spoglie di un grande ariete, preceduto da una comparsa di persone vestite in uniforme militare, con i colori della propria bandiera. Nello stesso anno il 16 agosto per festeggiare la venuta in Siena del nostro amabile Sovrano il Granduca Ferdinando III e sua Real consorte Maria Luisa Amalia figlia di Ferdinando IV Re di Napoli, il Magistrato Civico e molti corpi della nostra città tanto secolari, si venne a capo di poter stabilire, una grandiosa festa in Piazza, non mai più veduta. Comparve in quarto luogo il geniale popolo della contrada del Val di Montone con a capo Giuseppe Lusini con una vaga Nave a forma di cocchio cinese che nel più alto vedeva all’Arme una figura vagamente ornata, allusiva al Commercio, alla quale facevano corona un Etiope, un Levantino, uno Spagnolo ed un Olandese vestiti alla foggia delle loro nazioni. Di rimpetto a questi, stavano, ai piedi, la Toscana con la Fama accanto. Questo carro era preceduto da una comparsa di persone a piedi, che rappresentavano gli altri popoli commercianti dell’Europa. Per il palio di agosto del 1804, come terzo entrò il popolo del Montone, che rappresentò l’Architettura con una Matrona vestita di bianco, con rifiniture rosse e gialle; aveva le braccia nude, ed in mano una tavola con la pianta di una gran Fabbrica, il suo seguito era composto da giovani artisti aventi in mano, archipendoli, squadre, righe e compassi, ed altri attrezzi dell’arte. Il 16 agosto del 1818 la corsa fu onorata dalla presenza di S.A.I. e R. Granduca di Toscana Ferdinando III di Lorena, dell’Arciduca Leopoldo principe ereditario,e dell’arciduchessa Maria Anna principessa di Sassonia. Il Magistrato Civico decise di organizzare la carriera sul tema Olimpico, e distribuì una discreta sovvenzione a tutte le contrade.

I temi dovevano essere svolti a mezzo di un carro allegorico, con analoghe figurazioni, impersonate dai popoli delle contrade. Le sette che non correvano costruirono un bellissimo carro che rappresentava il sacrificio ad Ercole il Deo Institutore e Preside dei Giochi Olimpici, e le altre fecero ognuna una bella comparsa. Il tema da rappresentarsi per le 10 contrade fu “Il Parnaso” (monte della Grecia sacro alle Muse). La sorte, cui venne affidata la personificazione delle figurazioni che toccava rappresentare, assegnò al popolo del montone “Melpomene, Musa inventrice della Tragedia”, che apparve con portamento grave, magnificamente vestita con il coturno ai piedi, scettri e corone in una mano, ed il pugnale nell’altra. Formavano il corteggio di questa Musa, Sofocle principe dell’arte tragica, ed Euripide coronati di lauro col pugnale in una mano, ed il coturno ai piedi. Erano circondati dai personaggi principali delle tragedie, cioè da Edippo, Antigone, Ajace; Elettra, Filottete, Oreste, Ippolito, Ifigenia, Ecuba, ed Ercole il furioso, e dai loro rispettivi cori. Alla fine del 1800 il nostro rione era scarsamente popolato, ma noto alla città, perché di esso ne facevano parte alcuni contradaioli, nati e cresciuti al prato dei Servi e che si distinguevano per il forte affetto e sentimento alla contrada, si chiamavano Muso, Sgarallino, Gesso, il Sindaco, Sciavarro e Ceccantino. Anche oggi il nostro popolo, se pur nella grande maggioranza residente fuori del rione, si contraddistingue sempre per la forte passione e l’attaccamento ai nostri colori, il rosso, bianco, giallo ed il rosa.